Che importanza dà ognuno di noi al proprio intuito?
Diciamoci la verità, la maggior parte di noi pensa che l’intuito sia una specie di voce interiore mistica che è pronta a rivelarti cosa fare o cosa non fare sulla base di sensazioni emotive anche discutibili.
Anch’io ho sempre pensato fosse così, abbandonandomi di conseguenza il meno possibile all’intuito; pensavo che solo attraverso una valutazione pragmatica delle cose si potesse arrivare alla soluzione più corretta in ogni situazione.
Ho scoperto solo dopo, attraverso la mia esperienza, che non c’è nulla di più sbagliato, in quanto tutto quello che l’intuito ci suggerisce non è frutto del caso, ma è il risultato di quello che abbiamo pensato, imparato, sentito, interiorizzato, sperimentato nel corso della nostra vita.
Questo straordinario meccanismo prende vita grazie all’inconscio adattivo (Timothy D. Wilson - 2002), l’insieme dei processi che sono inaccessibili alla nostra consapevolezza ma influenzano significativamente giudizi, sentimenti e comportamenti degli individui.
Quello che ci suggerisce l’inconscio è un processo mentale complesso e non consapevole che è in grado di riconoscere i pericoli, stabilire gli obiettivi e promuove azioni e comportamenti, facendolo in modo efficiente e sofisticato.
Albert Einstein diceva: “La mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un servo fedele. Abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il dono”.
Dunque l’abbinamento tra intelligenza e intuito non è per nulla errato, anzi, sempre di più, si deve capire come bilanciare questi due concetti per non abbandonarci solo al pensiero razionale dimenticando di sviluppare quella parte creativa ed intuitiva che diviene sempre più utile nella dimensione professionale.
Questo è stato dimostrato da un ricercatore dell’Università di Leipzig, John Dylan Haynes, attraverso un esperimento molto semplice.
Alle persone era stato chiesto di scegliere di premere uno tra due pulsanti.
Il dato interessante è rappresentato dal fatto che la decisione cosciente di premere il pulsante era preceduta (in termini di millisecondi) da un potenziale negativo del cervello, denominato “preparazione potenziale”, che si origina nell’area motoria complementare (una regione del cervello coinvolta nella preparazione dell’azione motoria).
In altre parole, il nostro cervello si preparava per l’azione molto prima che la persona prendesse consapevolmente la decisione di farlo. L’esperimento dimostra che le nostre decisioni sono codificate dall’inconscio molto prima che noi ci rendiamo conto delle nostre intenzioni. Il nostro inconscio sa già quale decisione prenderemo anche se noi stessi tuttavia non lo percepiamo a livello cosciente.
In uno scenario dove l’omologazione e la semplificazione sono imperanti non è un valore aggiunto riuscire a mettersi in contatto con le proprie capacità e il proprio pensiero divergente?
Questo può fare la differenza nella risoluzione dei problemi e nella concettualizzazione di nuove idee.
Anch’io dopo anni di controllo sono riuscito a capire e a fidarmi del mio intuito. Quella sensazione che ti fa capire nel bel mezzo di una simulazione o di una facilitazione in azienda qual è la parola più corretta da dire, il suggerimento da dare, la provocazione da fare per permettere alle altre persone di raggiungere un obiettivo per loro importante.
Fidarsi del proprio intuito è un atto di coraggio e fiducia verso sé stessi. Fiducia verso quella parte inconscia che ci appartiene e che è capace di svolgere molte funzioni mentali complesse molto prima di quanto abbia fatto la nostra parte conscia. Quella parte di noi che, se ascoltata e sviluppata ed affiancata alla nostra intelligenza, farà sempre la differenza in ogni situazione.